Corallo Trapanese

Corallo trapanese

La storia del corallo trapanese ha origini molto lontane e già nel secolo XII il viaggiatore arabo Idrisi ne segnalava la pregiata qualità. Nel XIV secolo la scoperta di una “miniera” di coralli nel mare di Trapani (1416-1418) e nei pressi di San Vito Lo Capo (1439), attirò in città alcune famiglie di ebrei del Maghreb che diedero un notevole contributo alla lavorazione, dalla pulitura alla realizzazione di sferette, olivette, piccole bugne o virgolette.

Il rinvenimento di altri banchi corallini tra il 1530 e il 1535, a Tabarca, determinò l’incremento della produzione di manufatti e soprattutto la commercializzazione di essi sui vari mercati d’Italia.

Attorno al corallo orbitavano tre categorie di lavoratori: i pescatori, denominati corallai, i maestri corallari, gli scultori.

I primi si limitavano a pescare il rosso materiale e a venderlo ai corallari i quali lo pulivano togliendo la patina arancione (cenosarco) con raschetti in ferro e pietra molare, lo tagliavano con la tenaglia e lo lavoravano con la lima e con la mola di pietra, fino a ridurlo in piccoli elementi o sferette che venivano bucate con il fusellino (piccolo trapano), per poi essere destinate alla confezione di collane, bracciali e rosari.
Agli scultori spettava il compito di lavorare i rami più grossi per creare, con il bulino  ed il cesello, piccole sculture o cammei di elevato pregio artistico; essi erano però obbligati a subordinare la propria creatività al ramo e ad operare “in piccolo”.

La tecnica più antica per applicare baccelli, virgolette, puntini, linguette di corallo sul rame precedentemente forato, è quella del retroincastro, consistente nel fissare dal retro i piccoli elementi di corallo con una speciale colla formata da pece, cera e tela, e poi nel ricoprire (sempre il retro) con un’altra lastra di rame, spesso ornata con incisioni e punzonature.

Le superfici degli oggetti venivano interamente riempite di corallo, ripetendo un’antica consuetudine arabo-islamica di decorare “a tappeto”, una sorta di horror vacui, ben confacente al gusto  del tempo.

Sul finire del secolo XVII i maestri trapanesi cambiano la tecnica di applicazione sul rame, sostituendo il retroincastro con la cucitura attraverso fili metallici e piccoli perni.

Quando sul finire del secolo XVIII si cominciano ad avvertire i sintomi del declino del rosso materiale per la scomparsa dei banchi corallini, l’arte trapanese del corallo si avvia alla decadenza: gli scultori continueranno ad utilizzarlo associandolo ad altri materiali, per poi ripiegare definitivamente sull’avorio, l’osso, la madreperla, l’alabastro, le pietre dure, rinnovando così l’antica arte con altri materiali  e altri manufatti.

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